“Ho sempre creduto che l’ITS fosse una scelta vincente”, confida Anna (nome di fantasia), la cui voce tradisce una delusione profonda. Per anni, è stata un’instancabile promotrice del percorso degli Istituti Tecnologici Superiori. Ne parlava con gli insegnanti del liceo del figlio, spesso ignari di questa realtà formativa, e la consigliava ai genitori incerti sul futuro dei propri ragazzi. La sua fiducia è stata però compromessa da due esperienze dirette che hanno trasformato una strada promettente in un percorso a ostacoli per suo figlio, Giuseppe (nome di fantasia).
La storia di Giuseppe, 21 anni, inizia dopo il diploma al liceo, come racconta la donna a TuttoITS. Attratto dal mondo della tecnologia, decide di specializzarsi in cybersecurity. Supera i test d’ingresso in due diversi istituti, ma entrambi gli suggeriscono un passo intermedio: frequentare un corso annuale Ifts (Istruzione e Formazione Tecnica Superiore) per consolidare le basi informatiche prima di accedere al biennio ITS.
La prima delusione: l’Ifts e il diploma mancato
Giuseppe segue il consiglio e si iscrive a un percorso Ifts per system administrator in Lombardia. L’anno trascorre, ma al momento cruciale – quello del tirocinio – il meccanismo si inceppa. “La scuola non è stata in grado di trovare un’azienda disposta a farlo”, ci racconta Anna. L’istituto tiene i ragazzi “in ballo praticamente tutta l’estate”, chiedendo loro di rimanere a disposizione a Milano per possibili colloqui che si rivelano un buco nell’acqua.
Passano giugno, luglio e agosto. Il risultato è un disastro: nessuno stage. E senza le ore di tirocinio, niente esame finale. Giuseppe conclude l’anno senza diploma, con la sensazione di aver sprecato un’occasione.
La seconda esperienza: l’ITS e la responsabilità “scaricata sugli studenti”
Nonostante la battuta d’arresto, l’obiettivo principale rimane intatto. Giuseppe supera le selezioni ed entra finalmente in un ITS della Lombardia per frequentare un corso da cybersecurity analyst. La speranza di un’organizzazione più solida e strutturata si scontra presto con una realtà fin troppo familiare.
A gennaio, a pochi mesi dall’inizio delle lezioni, la scuola chiede ai ragazzi di iniziare a cercare autonomamente un’azienda per il tirocinio. Quello che inizialmente viene presentato come un modo per intercettare una realtà su misura per le proprie aspirazioni, si trasforma in un imperativo. Anna ricorda con sconcerto le parole rivolte agli studenti: “Dovete trovarlo voi, perché noi non stiamo riuscendo a individuarvelo”.
La situazione spinge Anna stessa, facendo ricorso ai propri contatti professionali, a scovare un’azienda disposta ad accogliere il figlio per lo stage obbligatorio. Una soluzione individuale che non cancella l’amarezza per un sistema che dovrebbe funzionare diversamente. E Giuseppe non è l’unico. “C’erano parecchi ragazzi” della sua classe che, a luglio inoltrato, sono rimasti senza tirocinio, rivela Anna.
La preoccupazione si allarga
Secondo Anna, l’ansia di Giuseppe era condivisa da molti compagni di classe. Dal suo racconto emerge un quadro generale di forte stress e incertezza, alimentato dal timore di dover recuperare le ore di tirocinio durante il secondo anno, con un doppio turno di stage al mattino e lezioni al pomeriggio. Una prospettiva insostenibile per chi, nel frattempo, aveva trovato un lavoro part-time per mantenersi.
Anna descrive la frustrazione palpabile dei ragazzi, che lamentavano una disorganizzazione cronica e la sensazione di ricevere risposte evasive. La ricerca autonoma dello stage, per molti, si era rivelata un calvario di CV inviati con riscontri minimi, sommata al timore di finire in tirocini di bassa qualità, a “sistemare la stampante” invece che acquisire vera esperienza nel campo della cybersecurity.
La testimonianza di Anna mette in luce diverse falle nell’organizzazione. Da una parte la gestione dei tirocini, che dovrebbero rappresentare il fiore all’occhiello degli ITS, il ponte d’eccellenza verso il mondo del lavoro. Dall’altra, la frustrazione per il rapporto con le figure di coordinamento della scuola. Anna parla di coordinatori che scaricano sugli studenti la responsabilità dell’insuccesso nella ricerca.
Tutto questo avviene in un contesto in cui la scuola, a pagamento con una retta di circa mille euro all’anno, sta espandendo la propria offerta, passando da una a due classi di cybersecurity, spiega Anna. “A maggior ragione mi aspetto che ci sia attenzione, cura, presenza”, afferma la mamma di Giuseppe, sottolineando come gli studenti dovrebbero dedicare il proprio tempo “a formarsi, non a cercare un tirocinio”.
La replica degli Istituti: “Ritardi fisiologici e proposte rifiutate”
Abbiamo raccolto le repliche dei due istituti coinvolti, che forniscono una lettura differente della vicenda.
Il direttore dei percorsi di Alta Formazione dell’Ifts in questione, interpellato da TuttoITS, inquadra diversamente l’esperienza. Presenta il caso come un’eccezione isolata, dichiarando: “A fronte di 60 inserimenti avvenuti con esiti soddisfacenti e nei tempi previsti, abbiamo avuto una situazione di difficoltà rispetto a una persona che ha rifiutato 12 proposte di stage”.
Anche il direttore generale dell’ITS frequentato da Giuseppe, che TuttoITS ha contattato, offre la sua versione. Riconosce un “oggettivo ritardo” nell’avvio di alcuni tirocini, ma lo definisce una criticità fisiologica, legata alla recente costituzione del percorso e della nuova sede. Pur confermando che la ricerca delle aziende “è una responsabilità della Fondazione ITS”, ci spega, un coinvolgimento attivo degli studenti possa renderli “consapevoli e corresponsabili”.
L’istituto contestualizza il problema, specificando che i tirocini in ritardo rappresentano “poco più del 5%” del totale e cita un tasso di occupazione post-diploma dell’87% (dati Indire), a testimonianza del successo generale dei percorsi.
L’appello: più trasparenza e responsabilità
Per i ragazzi che non hanno ancora trovato uno stage, la prospettiva offerta dalla scuola è complessa: quando inizieranno le lezioni del secondo anno a ottobre, dovranno dividersi tra lezioni teoriche e ore di tirocinio nella stessa giornata. Una soluzione che penalizza chiunque abbia un impiego part-time per mantenersi agli studi.
L’esperienza ha trasformato Anna da sostenitrice a voce critica, ma costruttiva. Non mette in discussione l’idea fondante degli ITS, che resta un canale formativo fondamentale e apprezzato dalle aziende, ma chiede a gran voce un cambiamento. Il suo consiglio ad altri genitori e ragazzi è di cercare “informazioni più oggettive” prima di iscriversi, dati reali sulle percentuali di successo nei tirocini e sulla gestione interna, al di là del marketing delle singole scuole.
“Facciamo in modo che funzioni un po’ meglio”, è il suo appello finale. Una richiesta di serietà e responsabilità affinché una “scuola importante” non prenda una deriva che tradisce la sua stessa missione: formare i professionisti di domani, “non lasciare i suoi studenti in balia di se stessi”.