Qual è il presente e il futuro degli ITS nel nostro paese? Per TuttoITS ne abbiamo parlato con Guido Torrielli, presidente dell’Associazione Rete Fondazioni ITS Italia (ITS Italy) e della Fondazione ITS Information e Communication Technology-Academia digitale di Genova. Senza dubbio un punto di vista privilegiato su questo mondo, dato che ITS Italy raggruppa quasi un centinaio di Fondazioni delle 120 presenti nel nostro Paese.
Partiamo dal finanziamento stabile agli ITS: la Commissione bilancio del Senato ha chiesto di rivederlo a 48,35 milioni di euro annui a partire dal 2022, mentre il testo base adottato dalla commissione cultura ne prevedeva 68, poi 48 dal 2023.
“Per la Rete ITS Italy è stato un passaggio fondamentale il fatto che, dopo due mesi in Commissione bilancio, si siano finalmente sbloccati i lavori sul disegno di legge, oggi nuovamente all’ordine del giorno della commissione Istruzione. L’attesa ripresa dall’esame della riforma, nonostante la riduzione di circa il 30% dell’apposito fondo per l’istruzione tecnologica superiore istituito presso il Ministero dell’istruzione, ha sancito il principio di un finanziamento stabile. Questo è prioritario per attivare quelle progettualità, in una prospettiva di medio e lungo periodo, di cui il sistema ITS ha assolutamente bisogno per crescere”.
La commissione bilancio ha chiesto che il coinvolgimento dei docenti delle istituzioni scolastiche nei percorsi formativi ITS non comporti nuovi o maggiori oneri a carico dello Stato. Cosa ne pensa?
“In generale, al di là della partecipazione strategica delle istituzioni scolastiche – soprattutto per orientare i neodiplomati – ritengo sia importante assicurare più autonomia alle Fondazioni. Il modello di formazione duale degli ITS è basato sulla connessione strettissima col mondo dell’impresa ma anche su quello in rapidissima evoluzione della ricerca e sviluppo tecnologico. Infatti, il nostro lavoro richiede una dinamicità dei processi operativi e progettuali che una iper-strutturazione e burocratizzazione delle attività rischia solo di limitare e rallentare.
Per questo è importante assicurare alle Fondazioni la massima autonomia gestionale, una più snella ed elastica struttura per essere operativi e presenti sul campo. Solo così possiamo far progredire la rete nazionale dell’alta formazione terziaria a ciclo breve. Questa infatti ha il compito di seguire il ritmo veloce del reale contesto produttivo di riferimento. Gli ITS garantiscono una rapida e qualificata occupazione e assicurano nuove risorse professionali per innovare i processi di trasformazione tecnologica delle imprese, al contempo creano un positivo continuum scolastico”.
Ora il sistema ITS rimane in attesa della riforma: come la vede?
“C’è un’attesa spasmodica della riforma, speriamo che i fattori politici non la blocchino. Noi siamo attenti alle normative, a come vengono scritti i bandi e i decreti. Un punto fondamentale è la comunicazione, l’orientamento: raccontare cosa significa partecipare ad un ITS. Ancora oggi è un mondo sconosciuto ai più.
A questo proposito ITS Italy, che coordina le attività territoriali, sta cercando di indirizzare 50 milioni di euro del Pnrr di finanziamento ordinario verso una campagna di informazione che permetterebbe di finanziare iniziative fatte dagli ITS stessi. Indire potrebbe occuparsi della comunicazione. Un’altra proposta dell’associazione è la scelta di un direttore generale dedicato agli ITS e scelto da Ministero dell’istruzione. Il ruolo sarebbe quello di coordinare le attività del Ministero e gestire i rapporti con le regioni, per esempio in materia di circolari emanate”.
Quali sono le linee di azione della Rete ITS Italy e gli obiettivi specifici?
“Oltre alla stabilità dei finanziamenti e alle infrastrutture adeguate per gli ITS, puntiamo a diventare un punto di riferimento per le imprese per la formazione tecnica specialistica. Vorremo che questo tipo di formazione accompagnasse tutto l’arco della vita lavorativa delle persone. Vale a dire anche per adulti: con la riforma si parla di corsi di aggiornamento continuo, oltre il biennio. L’altro punto fondamentale è quello della comunicazione degli ITS ai giovani (come orientamento), alle aziende, agli istituti e al Paese intero, poiché non sono conosciuti.
Tra gli obiettivi specifici c’è quello di aumentare notevolmente il numero degli iscritti agli ITS, portando gli attuali 5mila annui a 25 mila nel 2026, ovvero tra cinque anni (e 2mila in Liguria, invece dei 400 attuali). Questo, grazie al miliardo e mezzo di euro di finanziamenti del Pnrr, considerando che i costi andranno suddivisi tra corsi in più, impianti, laboratori e orientamento”.
Il calo demografico del nostro Paese è un evidente problema per le imprese che faticano a trovare personale formato da inserire. Cosa ne pensa?
“Il calo demografico è un problema. L’associazione ITS Italy sta tessendo rapporti con associazioni che promuovono la relazione tra gli stati del Mediterraneo, con la finalità di selezionare giovani.
Oggi in particolare sono due le aree di transizione fondamentali in cui ricercare personale formato: quella ecologico-energetica e la digitale. Servono profili professionali qualificati, penso per esempio al campo della cyber-security. Oggi i criminali entrano nei settori importanti come mobilità, sanità, finanza e mancano figure professionali da inserire in questi settori chiave”.
Ha accennato al fatto che il sistema ITS vorrebbe diventare un punto di riferimento per le imprese: ci sono azioni specifiche in cantiere?
“Il dato più interessante dell’attuale lavoro sulla riforma è che nel testo, all’art. 4 comma 6, viene stabilito che per le erogazioni liberali in denaro, effettuate in favore delle fondazioni ITS Academy, a partire dal periodo d’imposta in corso alla data di entrata in vigore della legge, spetta un credito di imposta del 30% delle erogazioni effettuate. Percentuale che raddoppia e arriva al 60% se l’erogazione è effettuata in favore di ITS operanti nelle province il cui tasso di disoccupazione è superiore a quello medio nazionale.
Questa misura rafforza il legame tra il mondo dell’impresa e il nostro sistema, che basa i suoi modelli operativi proprio sugli investimenti del tessuto produttivo di riferimento. È inoltre un’importante legittimazione dell’operato delle imprese, protagoniste dell’offerta formativa ITS, sia nella fase di progettazione dei corsi – calibrati sui fabbisogni reali delle aziende -, sia nelle attività didattiche, dove i docenti sono esperti aziendali per oltre il 60% e dove si svolgono il 40% delle ore di stage e tirocini”.
È in atto un tentativo di istituzionalizzare le passerelle tra ITS e università e viceversa. Nello specifico cosa si augura avvenga?
“Sicuramente gli ITS possono intervenire positivamente sul fenomeno dell’abbandono universitario, arginando il rischio di dispersione scolastica e recuperando giovani portati per una formazione pratica e laboratoriale, rispetto a quella accademica. Ma è anche vero – data l’esperienza delle nostre Fondazioni – che molti dei nostri diplomati proseguono gli studi all’università.
In primis, queste passerelle dovrebbero essere costruite sul riconoscimento semplice e diretto dei titoli ITS. Gli ITS infatti prevedono nella formazione anche una partecipazione attiva di professori universitari come crediti formativi dagli atenei. Viceversa, va avviato il meccanismo di riconoscimento dei crediti formativi universitari (CFU), per chi intende iscriversi agli ITS”.
Cos’altro manca al sistema ITS?
“La rete ITS è ormai abbastanza articolata a livello regionale ed è capillare su quasi tutto il territorio nazionale. La formula di attivare più percorsi per ITS invece che aumentare il numero delle Fondazioni, a mio avviso, è la politica più efficace per ottimizzare tempi e risorse e non dissipare il lavoro disgregando le energie. Credo che il potenziale espresso dalle Fondazioni come player tra i mondi dell’impresa, del lavoro e della ricerca sia ancora parziale e minimo.
Gli ITS non vanno visti solo come entità cui è riservata la funzione di alta formazione, ma intesi come poli di raccordo per generare opportunità di sviluppo economico, sociale e culturale. In riferimento allo sviluppo culturale mi riferisco per esempio all’importanza di stimolare il superamento del divario di genere in un paese in cui gli stereotipi e i pregiudizi di genere – in particolare per ciò che riguarda la scelta di percorsi scientifico-tecnologici (STEM) -, sono fondamentalmente di natura culturale (ne abbiamo parlato qui). Nelle intenzioni della riforma in corso, per esempio, cambierà anche il sistema di assegnazione delle risorse premiali, che terrà conto delle iscrizioni femminili. Per noi è un punto molto importante, soprattutto perché strettamente connesso al potenziamento dell’orientamento alla scelta dei nostri percorsi post-diploma, che offrono alle studentesse delle reali occasioni di affermazione professionale e valorizzazione dei talenti”.