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Da StrAIght to business una chiamata al mondo ITS

Il format promosso da Upskill 4.0 e Ennova Research con il supporto di Unicredit ha mostrato l'importanza delle sinergie per valorizzare l'intelligenza artificiale nelle imprese italiane. Un tema che chiama in causa anche la formazione tecnologica superiore

In collaborazione con: UniCredit

Alle imprese italiane l’intelligenza artificiale piace e a confermarlo sono i dati di mercato. Nel 2023, infatti, la spesa ha segnato un +52%, raggiungendo il valore di 760 milioni di euro. Inoltre, come sottolineava in merito la ricerca dell’Osservatorio Artificial intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, “sei grandi imprese italiane su dieci hanno già avviato un qualche progetto di Intelligenza Artificiale, almeno a livello di sperimentazione, ma ben due su tre hanno già discusso internamente delle applicazioni delle Generative AI e tra queste una su quattro ha avviato una sperimentazione (il 17% del totale)“.

Uno stimolo a capire sempre meglio in che modo valorizzare l’intelligenza artificiale generativa – e applicarla ai casi concreti – può venire anche da un approccio (eco)sistemico, come quello indicato da StrAIght to business, il format promosso da Upskill 4.0, spin-off universitario Ca’ Foscari presieduto dall’economista Stefano Micelli, e dal player dell’innovazione Ennova Research. A sostenere l’iniziativa, Google Cloud, Venice School of Management e UniCredit (tra gli speaker intervenuti, Francesco Iannella, Regional Manager di UniCredit Nord Est).

L’iniziativa era stata lanciata per rafforzare la competitività delle imprese italiane attraverso l’intelligenza artificiale, promuovendone l’uso e facilitando l’accesso alle tecnologie grazie alla collaborazione tra università, sviluppatori e aziende. Il 17 e il 18 maggio, StrAIght to business ha tradotto i suoi obiettivi sul campo, coinvolgendo tanti protagonisti e licenziando delle soluzioni utili per le imprese coinvolte.

Dall’evento veneziano arrivano, però, anche indicazioni interessanti per il mondo ITS, come conferma Stefano Micelli, Professore Ordinario dell’ateneo veneziano e presidente esecutivo di Upskill 4.0: “StrAIght to business ha coinvolto principalmente studenti dell’università. Ma c’era anche qualche studente ITS, di Fitstic, su Bologna. Abbiamo provato ad usare esattamente le stesse metodologie che abbiamo utilizzato con gli ITS, con studenti triennali e magistrali di economia. Ma una presenza ITS più forte potrebbe esserci in futuro, se gli istituti lanceranno corsi dedicati all’Intelligenza artificiale. Oggi l’offerta è molto, molto limitata. Uno dei temi emersi è lanciare dei corsi subito, è un auspicio e spero di dare un contributo in questa direzione. Siamo rimasti molto sorpresi dalla velocità con cui gli studenti universitari, sia triennali che magistrali, molti coetanei di quelli che frequentano gli ITS, hanno immaginato lo sviluppo di applicativi. Abbiamo lavorato in parallelo con il nostro partner tecnologico, che ha seguito con noi tutta l’analisi dei bisogni delle aziende e la traduzione di questi in una soluzione tecnologica coerente con i famosi Large Language Model“.

Cinque use case, tre workshop: come si è approdati ai risultati?

Erano presenti dieci aziende, abbiamo identificato i problemi di queste imprese e li abbiamo accorpati in cinque domini applicativi. Abbiamo fatto lavorare gli studenti assieme, tre più tre, e con loro c’era un tutor, un esperto di intelligenza artificiale. C’è stata ovviamente una fase preparatoria, veloce ma intensa.

Secondo il giudizio delle imprese, i risultati sono stati sorprendenti dal punto di vista dell’impatto. Perché dico sorprendenti? Perché i partecipanti sono riusciti a identificare e sviluppare delle soluzioni interessanti. E poi perché le imprese, in poco tempo, si sono rese conto che queste applicazioni non sono così difficili da sviluppare; che ci sono studenti disponibili a sperimentare con loro; ci sono dei tecnici, come quelli di Ennova, che hanno le competenze per gli utilizzi; ci sono delle persone, come i nostri tutor, che sanno collegare tecnologia e valore economico.

L’impatto generale è stato di enorme fiducia. Queste tecnologie possono aiutarci, hanno potenzialità e limiti, i giovani con cui stiamo lavorando possono essere coinvolti e possono dare un contributo in tempi relativamente brevi.

Ci racconta, nell’ambito use case dell’evento StAIght to business, uno che esemplifica bene il valore dell’AI generativa?

Oggi, gli use case di intelligenza artificiale interessano soprattutto l’area marketing e produzione di contenuti. Tra i partecipanti, l’azienda Caleffi Hydronic Solutions, che realizza componenti per l’idraulica, ha da tre decenni una rivista specializzata (La Rivista Idraulica, ndr) in questo particolare dominio. Non sono mai riusciti a valorizzare questa rivista in campo marketing perché troppo tecnica, non riuscivano a rendere i contenuti più accessibili per il grande pubblico (la rivista nasceva come strumento gratuito per supportare i lettori nell’evolversi della tecnologia impiantistica, spiega l’azienda sul sito, ndr).

L’intelligenza artificiale è uno strumento potentissimo per prendere tutti questi materiali, “digerirli” e riproporli a un pubblico più ampio, in versione multilingue, per esempio, con relativa facilità, ovviamente grazie al contributo di una supervisione attiva (umana, ndr).

Questo enorme patrimonio di know how manifatturiero, oggi, grazie all’intelligenza artificiale, diventa fruibile e comprensibile anche a un pubblico più ampio, a costi, va sottolineato, accessibili. Siamo un popolo manifatturiero, ancora adesso, sappiamo fare le cose molto bene, ma spesso non le sappiamo raccontare bene. L’intelligenza artificiale potrebbe essere una leva per aiutarci a divulgare quello che facciamo.

Ma ci sono anche i temi del controllo di qualità, che avviene con grande efficienza, addestrando questi modelli, e risultati molto promettenti ci sono anche nell’ambito della manualistica specifica, per aree tecniche molto particolari. Cito il marketing perché, secondo me, è una delle aree dove oggettivamente l’impatto potrebbe essere più rapido e significativo.

L’accelerazione sul fronte del digitale nelle imprese passa anche dallo sviluppo di ecosistemi territoriali che possono connettere imprese, università, scuole e servizi all’innovazione, come lei stesso ha sottolineato. È questa la dinamica più complessa, costruire gli ecosistemi?

Accelerare la crescita sul fronte di un campo delicatissimo, quello dell’intelligenza artificiale, è la priorità per tantissimi governi e per tantissime economie ma nessuno può farlo da solo. Neanche l’impresa: alcune con grandi competenze e di grandi dimensioni possono assumere l’esperto di AI, ma bisogna mettere insieme dei pezzi diversi. Quindi impresa, ricerca, specialisti di settore, grandi aziende come Google: bisogna fare un gioco di squadra ma non generico, con dei processi di riconoscimento della priorità, processi di decodificazione della proposta di valore, con l’identificazione degli applicativi da sviluppare, con una valutazione dell’impatto di questi nella vita dell’organizzazione.

L’ecosistema è mettere insieme tutti i pezzi che servono, immaginando un’idea di collaborazione strutturata attorno a delle pietre miliari. Questo dobbiamo fare, coinvolgendo gli universitari, gli studenti degli ITS, immaginando che il numero di questi ultimi possa crescere in forza di un’offerta che andrà a coprire l’intelligenza artificiale.

Quale sarà la prossima tappa di StrAIght to business?

L’idea è di farlo diventare un appuntamento, di replicare il processo adesso, vedremo se a scadenza annuale o più ravvicinata. Abbiamo ricevuto diverse richieste di replica da parte di gruppi di imprenditori, di imprese. Insomma, questo modello inizia a incuriosire e interessa.

Inoltre, ho visto i nostri studenti orgogliosi di aver partecipato ad un percorso di questo tipo perché si sono sentiti i protagonisti di uno sviluppo tecnologico di cui si sente molto parlare. Non solo gli diamo la possibilità di esprimere il proprio talento, di crescere professionalmente, ma capiscono che anche da noi abbiamo una qualità, abbiamo una tecnologia, c’è voglia di fare e anche una velocità di mescola dei processi.

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