Lo scorso febbraio, gli Stati Generali delle Camere di Commercio sull’economia del mare hanno ribadito l’importanza di questo comparto in cui l’Italia è al terzo posto in Europa per ricchezza prodotta. Un settore in cui, come ricordato dal presidente di Unioncamere Andrea Prete, “operano oltre 220mila aziende che danno lavoro a quasi un milione di occupati. Nel settore ci sono oltre 21mila imprese capitanate da giovani, pari al 9,4%”.
Le filiere che compongono l’economia del mare sono numerose e vanno dalla movimentazione di merci e passeggeri all’industria delle estrazioni marine, dalla cantieristica alla filiera ittica. E poi servizi di alloggio e ristorazione, attività sportive e ricreative, ma anche ricerca, regolamentazione e tutela ambientale.
Per cogliere le chance occupazionali in palio la formazione sarà decisiva: gli impatti di digitalizzazione e transizione verde si fanno sentire e non manca anche il problema del mismatch tra domanda e offerta. Secondo il report del Centro studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne “nel complesso riguarda il 25% dei profili ricercati, con punte nella cantieristica navale dove questi valori sono quasi doppi”.
Ricchezza e occupazione generata dall’economia del mare sono particolarmente rilevanti nelle regioni e nelle città di mare: in Liguria, la blue economy “pesa per il 14,5% sul valore aggiunto complessivo della Regione” e Genova è al primo posto nazionale “rapportando la ricchezza e l’occupazione generata dall’economia del mare sul totale dell’economia provinciale”. Non c’è dubbio che gli attori della formazione e del training godano di un osservatorio privilegiato sui bisogni delle aziende e sulla capacità di rispondere del sistema formativo, compreso quello di ambito ITS.
La capacità di suscitare l’interesse dei potenziali, futuri, professionisti ma anche di tradurre i bisogni delle aziende sarà decisiva: ne parliamo con Eugenio Massolo, presidente della Fondazione Accademia Italiana della Marina mercantile: nata nel 2005 con lo scopo di offrire alta formazione e training in ambito marittimo, è stata riconosciuta Fondazione ITS nel 2011 con la denominazione di Fondazione Istituto Tecnico Superiore per la mobilità sostenibile – Settori trasporti marittimi e pesca, (ne abbiamo scritto qui).
Presidente Massolo, con il recente evento Tech&Sea avete presentato i vostri corsi ITS agli istituti tecnici della Liguria. C’è consapevolezza sulle peculiarità delle professioni dell’economia del mare e sulla formazione che richiedono in merito?
In parte sì, in parte no. Il sistema ITS non è ancora molto conosciuto, molto spesso non è compreso fino in fondo però sta crescendo, soprattutto attraverso il passaparola. Lo rileviamo dal modo in cui gli studenti arrivano al nostro ITS: il 60% attraverso il passaparola, un 30% dai social, la restante parte dalla scuola. Sono dati che ci orientano anche nelle campagne di orientamento. Noi non registriamo un’eccessiva difficoltà nel reclutamento, ma gli ITS devono attrezzarsi per attirare gli studenti su una dimensione interregionale – quanto meno – o anche nazionale. Puntiamo molto ad attirare allievi da tutta Italia: in media, il 46% dei nostri studenti viene da altre regioni, bisogna certo poi attrezzarsi con i servizi per la residenzialità.
Alcuni vostri bandi si rivolgono anche a persone over 30?
La platea che andiamo a intercettare è mediamente sotto i 30 anni. Per alcune figure saliamo fino a 32, ma la fascia che intercettiamo maggiormente è sotto i 30: per quanto riguarda gli allievi ufficiali di coperta arriviamo fino a 25 anni, ufficiali macchina fino a 29, per altri settori fino a 32.
I corsi sono distribuiti per ambiti: marittimo; logistico-portualità; cantieristica navale. Quali godono di maggiore appeal?
Il marittimo è quello con il maggiore appeal, in particolare ufficiali coperta e macchina. Non abbiamo problemi sulla logistica, che va molto bene. Va bene anche il settore ferroviario. La cantieristica è il settore più recente, riguarda figure che devono essere pienamente percepite come lo ship manager e superintendent (il tecnico superiore per la supervisione e l’installazione di impianti a bordo navi). Anche in ambito logistico, abbiamo un corso che riguarda la gestione dell’automazione dei terminal portuali. Siamo abbastanza soddisfatti per quanto riguarda l’adesione; puntiamo a fare selezione oltre che ad avere il numero di iscritti stabilito e lo sforzo di orientamento è molto forte. Non guardiamo solo agli istituti tecnici ma anche ai licei e stiamo avendo buoni risultati. Abbiamo una percentuale crescente di giovani che provengono dall’università, anche dopo la laurea.
Grazie agli Accordi con le autorità di sistema portuale, sondate anche i fabbisogni lavorativi emergenti. Di cosa hanno bisogno oggi le aziende, posto che le professionalità anche in quest’ambito stanno subendo un’evoluzione?
Le aziende hanno bisogno di una formazione più specializzata e più mirata alle esigenze degli impianti e del sistema organizzativo. Abbiamo cambiato il metodo di approccio, non più quante e quali figure, ma lavoriamo assieme alle imprese sui contenuti. Un’azienda parla la sua lingua, ha un suo sistema organizzativo e un modo di operare sul mercato: bisogna dare una mano al fine di tradurre i bisogni nelle “figure”, è un lavoro a due mani. La scommessa dell’ITS è quella di essere in linea con quello che succede, anche in proiezione. I corsi cambiano, la possibilità di modificare i contenuti, le docenze, le competenze da dare sono aspetti fondamentali. Non abbiamo bisogno dell’approvazione del ministero. Il confronto con l’azienda, se usato bene, è vincente e porta ad alti livelli di occupazione. Stiamo sempre di più lavorando per utilizzare il sistema della formazione in alto apprendistato, molte figure nel corso della formazione percepiscono già un compenso economico (avviene per il marittimo) o borse di studio per periodi all’estero.
Nel 2025, nuova sede a Palazzo Tabarca, a Genova: come inciderà questo cambiamento, oltre la logistica?
Sarà un campus, avrà aule didattiche, laboratori, ma anche residenzialità. La nuova sede consente di sviluppare un grosso investimento su sistemi di simulazione molto avanzati, quasi unici, nel Sud Europa che possono essere confrontabili con quelli danesi, svedesi, olandesi. Sarà un asse fondamentale della formazione. Puntiamo anche gradualmente a erogare i nostri corsi completamente in inglese. Dobbiamo lavorare molto sull’applicativo consapevole, sul continuo perfezionamento e sull’utilizzazione possibile delle migliori tecnologie.
C’è ottimismo sulle prospettive economiche e industriali della regione? Come guardate anche al tema demografico?
Sono moderatamente ottimista. Abbiamo sempre avuto un sostegno istituzionale fortissimo, la nuova sede è stata concessa dal Comune che ne capisce l’importanza.
La Liguria si conferma leader nel settore crocieristico, il porto di Genova sta crescendo e ci sono progetti importanti di sviluppo. Il bacino di giovani della Liguria è limitato, è assolutamente necessario rivolgersi a tutta Italia, al fine di creare occasioni nel settore per giovani di altre regioni in una città, Genova, dove c’è un bacino di risorse e saperi molto alto. Quest’opportunità va offerta a livello nazionale, è anche un modo per attirare giovani che si formano e trovano lavoro qui, facendo aumentare più rapidamente la popolazione giovane in Liguria.
Un highlight della vostra partecipazione a Fiera Didacta 2023?
Abbiamo portato un contributo sulla nostra attività internazionale. Lavoriamo (coordinandoci con soggetti internazionali e istituzionali) per la formazione e la specializzazione di personale delle autorità marittime in tutto il mondo per un sempre migliore adeguamento, in particolare dei paesi in via di sviluppo, alle regole internazionali. Partecipiamo a progetti europei, ma rivolti soprattutto all’estero. Abbiamo realizzato un progetto importante in Albania (nell’ambito del progetto comunitario Albania: Support to Fishery Sector, per attività di training e capacity building in favore dell’Ispettorato pesca albanese) e abbiamo appena iniziato un progetto in Nigeria, alle foci del Niger, dove il cambiamento climatico sta creando disastri dal punto di vista ambientale e sociale. Bisogna portare le popolazioni a una diversa gestione del territorio, dell’economia, dell’agricoltura e della pesca.