Confrontando la formazione terziaria in Italia con quella di altri paesi europei, si notano differenze che Fondazione Agnelli ha cercato di spiegare con il rapporto “ITS Academy: una scommessa vincente? L’istruzione terziaria professionalizzante in Italia e in Europa“, pubblicato da Milano University Press. Il rapporto analizza la formazione terziaria professionalizzante in altri tre principali paesi Ue
(Francia, Germania e Spagna) e in Svizzera, riconosciuta come leader a livello internazionale in questo ambito. Dal confronto emergono alcune differenze tra gli ITS italiani rispetto a quelli degli altri paesi presi in considerazione, supportate da alcuni valori quantitativi.
Tuttavia, la valutazione verte su un sistema che ancora non ha visto entrare pienamente in azione le misure introdotte con la riforma del sistema ITS, e tutto sommato si basa più su questioni qualitative e strutturali che su dati numerici. Nel rapporto, infatti, i dati vengono utilizzati solo sporadicamente: abbiamo raccolto qui i più significativi.
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→ L’intervista long form al curatore
→ L’editoriale di TuttoITS
Gli ITS e il problema della mole di iscritti
Una prima differenza che salta all’occhio confrontando gli ITS italiani con quelli esteri riguarda sicuramente i numeri di studenti coinvolti in questo tipo di formazione. Secondo i dati, infatti, l’istruzione terziaria professionalizzante pesa per il 45% dell’istruzione terziaria totale in Svizzera, per il 40% in Germania e 29% e 27% rispettivamente in Francia e Spagna. In Italia, gli ITS contribuiscono solo per l‘1% alla formazione terziaria degli studenti. Questo dato, che è purtroppo noto da lungo tempo ed è regolarmente citato quando si parla di ITS, si riferisce all’anno scorso, quando ancora non era entrata a regime la riforma degli ITS di luglio 2022: anche se dagli ultimi dodici mesi non possiamo aspettarci stravolgimenti nelle statistiche, il trend di iscrizioni agli ITS è comunque in una fase di importante crescita.
Sebbene dal 2009 (quando sono stati fondati gli ITS in Italia) a oggi gli studenti iscritti siano cresciuti di anno in anno, la ricerca della Fondazione Agnelli sostiene che lo scarso numero di studenti iscritti sia anche legato ai numeri ridotti di ammissioni ciascun anno nei vari ITS. Ogni ITS ha in media 180 studenti, con un forte divario territoriale: 230 studenti al Nord, 170 al Centro e 125 nel Mezzogiorno. A cosa sono dovuti questi numeri? Secondo la ricerca, è la scarsa conoscenza di questo percorso di istruzione e la mancanza di un finanziamento adeguato a limitare la crescita degli ITS.
I finanziamenti agli ITS
Per triplicare il numero di studenti attualmente iscritti, si legge nel rapporto, bisognerebbe trasformare l’attuale finanziamento statale agli ITS da 50 milioni di euro l’anno a circa 1 miliardo l’anno. Si ipotizza dunque che questi soldi siano sufficienti a sostenere un numero triplicato di studenti che frequentano un corso biennale: per verificare questa ipotesi, possiamo mettere a confronto la spesa nazionale a favore degli ITS con l’aumento del numero degli studenti nel corso degli ultimi dieci anni. È un confronto impreciso, in quanto non tiene conto di finanziamenti regionali o europei, ma in ogni caso questa stima del fenomeno e ci dice in effetti che c’è una correlazione tra i finanziamenti stanziati e il numero di studenti degli ITS.
Per confermare l’ipotesi potrebbero essere utili proprio i soldi del Pnrr. Con i suoi 1,5 miliardi di euro messi a disposizione degli ITS, potrebbe essere un buon punto di partenza per ampliare l’offerta formativa e il numero di studenti. Come noto questi finanziamenti sono a oggi arrivati solo in parte a destinazione, perciò solo nel giro di qualche anno potremo vedere se questa proiezione sarà confermata dai fatti.
Il Pnrr è davvero una risorsa per tutti? (Spoiler: parrebbe di sì)
I soldi del Pnrr sono stati ripartiti tra i diversi ITS secondo diversi criteri. Il 60% delle risorse è destinato alle Fondazioni ITS del Centro e del Nord del Paese, mentre il restante 40% a quelle del Mezzogiorno. Il 60% delle risorse sarà erogato a ciascun ITS beneficiario sulla base del numero di studenti iscritti (calcolati in modo cumulativo per gli anni 2020 e 2021), mentre per il 40% in quota fissa. Per gli ITS di nuova istituzione, sono previste risorse per quasi 28 milioni di euro. In generale, le risorse saranno quindi circa dieci volte superiori rispetto a quelle destinate agli ITS nel 2022, con una ripartizione che sembra tenere conto del numero inferiore di ITS presenti nel Mezzogiorno e anche del minore numero di studenti iscritti in questa parte del nostro territorio nazionale.
Rendere più fluidi i canali di accesso agli ITS
Secondo la ricerca di Fondazione Agnelli, gli ITS in Italia non riescono a decollare anche a causa dei rapporti distaccati con con l’istruzione secondaria di secondo grado e l’istruzione terziaria universitaria. Secondo tale ipotesi, i numeri esigui di iscritti agli ITS sarebbero legati a un insufficiente orientamento nelle scuole superiori e, in particolare negli istituti tecnici, di cui sarebbero la naturale continuazione.
Se da un lato è innegabile che la consapevolezza pubblica sull’esistenza stessa degli ITS sia ancora troppo bassa – d’altronde, anche lo stesso TuttoITS è nato proprio per dare un piccolo contributo in questo senso – dall’altro va detto che, osservando la provenienza degli iscritti, la maggior parte proviene proprio dagli istituti tecnici. Per di più, negli ultimi anni il numero degli iscritti da licei o diplomi professionali è aumentato: segno che più studenti si sono resi conto dell’importanza di una formazione professionale, soprattutto se si vuole avere un’alta probabilità di trovare poi un lavoro specializzato.
La questione dell’orientamento non è comunque, nel rapporto, supportata dai numeri: per esempio, si potrebbero considerare le reali azioni di public awareness intraprese dagli ITS, il numero di open day offerti e l’azione di sensibilizzazione sui social media, mettendo magari tutto questo a confronto con lo spazio effettivamente offerto loro dalle scuole superiori (che è notoriamente poco, almeno fino a oggi). E se a carico degli ITS ricadono spesso le accuse sulle errate tempistiche con cui vengono presentati o attivati i corsi, ciò non dipende solo da ipotetiche questioni di disorganizzazione interna, ma il più delle volte anche da bandi o finanziamenti che si sovrappongono o arrivano tardi rispetto ai tempi canonici degli anni scolastici.
C’è un tema di specificità dei profili professionali?
Un’ultima cosa che emerge dal rapporto di Fondazione Agnelli è una distribuzione piuttosto omogenea sul territorio nazionale dell’offerta formativa, ritenuta troppo poco differenziata e differenziante riespetto alle peculiarità dei territori. Inoltre, mediamente, a ogni area di specializzazione corrispondono due figure professionali di tecnici superiori.
Secondo l’analisi, un’offerta formativa più variegata e adattata al territorio sarebbe più interessante per gli studenti. Inoltre, potrebbe dare risposte più puntuali ai bisogni delle imprese locali. Questo, inoltre, rispecchierebbe il modello tedesco che ha un’offerta formativa ampia e regionale. Il rapporto considera debole la definizione delle competenze associate alle diverse figure di tecnico superiore. Competenze generiche e sbocchi professionali poco definiti creano “aspettative disattese” nei giovani diplomati, si legge.
Tutto questo però stride con un dato sull’occupazione che è sempre molto elevato, con oltre l’80% dei diplomati che trova lavoro entro un anno dal termine del percorso ITS. Anche in questo caso, sarebbe initeressante se le affermazioni del rapporto fossero supportate con dati specifici, anche perché – viceversa – gli ITS italiani spesso nascono in seno ai distretti di imprese, dunque hanno invece una forte componente differenziante di carattere locale, al di là delle etichette con cui vengono catalogati a livello nazionale.