Sulla relazione virtuosa – e necessaria – tra ITS e piccole e medie imprese non mancano gli spunti perché il tema è ampio e importante. Ancor prima del passaggio della riforma, per esempio, Confartigianato sottolineava come il rilancio degli ITS passasse proprio “da un rapporto più stretto con le piccole imprese e da un consolidamento della presenza delle stesse nelle fondazioni “per garantire alle imprese professionalità adeguate alle nuove sfide tecnologiche”.
In un paese dove piccola e media impresa sono dominanti, il discorso si riallaccia anche al più generale tema del made in Italy, che simboleggia eccellenza industriale e artigianale in comparti connotati da peculiare know how.
L’esistenza stessa dell’area Nuove tecnologie per il made in Italy ricorda agli studenti- e alle imprese- che dagli ITS escono professionisti in grado di affrontare le sfide proprie di aziende che operano nell’agroalimentare, nella moda, nella meccanica, ecc. Scegliere quest’area, per gli studenti, significa anche scommettere sull’evoluzione dei settori più tradizionali e sul bisogno di rinnovamento che le imprese hanno. Ma concretamente cosa succede quando le pmi incontrano i tecnici che si formano negli ITS?
Una risposta abbastanza chiara viene dall’ultimissimo step del percorso, durato dieci mesi, di Upskill, il progetto promosso da Fondazione Cariverona, curato da Upskill 4.0, spin off dell’ateneo veneziano Ca’ Foscari. Gli studenti degli ITS Maker di Bologna, Mita di Firenze, Fitstic di Bologna e Malignani di Udine, hanno portato in dote, rispettivamente, a Officina Dario Pegoretti, Progetto Quid, Coplant e Reverse progetti da sviluppare per rendere più efficiente e al passo con le sfide del tempo il proprio business (avevamo raccontato in precedenza protagonisti, scopo e dinamiche dell’iniziativa).
Artigianato e tecnologia digitale – come svelato a Milano in un appuntamento andato in scena alla Tower Hall di UniCredit il 15 febbraio – hanno trovato una sintesi in un caschetto da saldatore che permette una visualizzazione in realtà aumentata per seguire visualmente il processo di saldatura dei telai delle bici (la veronese Officina Pegoretti); in una linea di accessori che valorizza tessuti invenduti, nell’ambito di una produzione sempre più on-demand e senza sprechi che passa dalla potenzialità della realtà virtuale (Progetto Quid); in un’interfaccia digitale per il vivaio 4.0 di Coplant (nel mantovano), al fine di creare esperienze più interattive, e al passo con i tempi, per chi acquista piante; in una seduta componibile e in materiali alternativi al legno, nel progetto Not (Not Only Wood) per Reverse, studio di architettura di interni veronese.
A rendere possibile il passaggio dalle idee alle progettualità, nelle diverse fasi di Upskill, l’apporto del design thinking, una metodologia che valorizza soft skill e apprendimento attivo nell’ambito di un processo creativo che punta a risolvere problemi diversi in fasi distinte.
Migliaia di altre piccole e medie imprese saranno alle prese con le medesime sfide di quelle citate: ripensare prodotti e servizi e portare il digitale a bordo sembra facile ma non lo è perché si tratta spesso di spezzare la routine e osservare da fuori tante dinamiche che si ripetono uguali per inerzia. E poi il tema del capitale umano, da ricercare non solo per occupare posizioni ma per rilanciare ambizioni.
Come sottolineato all’evento da Stefano Micelli, presidente esecutivo di Upskill 4.0, “le soluzioni elaborate in questi percorsi progettuali non solo possono aiutare le imprese che vi hanno partecipato ma possono ispirare anche tutte quelle piccole e medie imprese italiane che vogliono impegnarsi sul fronte dell’innovazione e della sostenibilità ambientale e sociale”.
Un progetto come Upskill ricorda quindi che, in un’era dove si discute molto di lavoro, è necessario provare a raccontare i modi in cui la tradizione del lavoro italiano può incontrare la tecnologia, generando rilanci per aziende e territori (anche grazie a occasioni di ecosistema, meglio se incentivate da attori che conosco bene i bisogni del tessuto economico e produttivo circostante). Il fattore innovazione sarà decisivo per far prosperare ed evolvere settori tradizionali, che non devono cambiare la loro mission, ma al massimo aggiornarla per competere meglio e di più. Ai giovani invece spetta sapere che artigianato e piccole imprese sono la spina dorsale del sistema economico italiano, ma anche queste realtà evolvono e hanno bisogno di risposte a domande che nei decenni scorsi, forse, nemmeno si ponevano. E solo chi avrà le giuste competenze potrà darle.