Its 4.0 è un mondo che parla agli ITS e alle aziende e, soprattutto, che stimola la comunicazione e la collaborazione fra i due mediante lo sviluppo di idee e progetti tecnologici innovativi. Ne abbiamo parlato per TuttoITS con Stefano Micelli, professore ordinario all’università Ca’ Foscari, insegnante di International Management, da sempre studioso dei fattori di competitività del made in Italy e coordinatore del progetto Its 4.0.
“Da un po’ di anni a questa parte è emersa con grande chiarezza la necessità di formare una nuova leva di tecnici, di professionalità legate al made in Italy che arricchissero e permettessero un cambio di passo nel settore. Ho iniziato a lavorare con gli ITS nel 2017-2018 grazie ai finanziamenti che aveva messo a disposizione Carlo Calenda (allora ministro dello Sviluppo economico, ndr). Al Miur mi chiesero di avanzare un progetto pilota, ma già dall’anno dopo Its 4.0 si allargò alla totalità degli Its. Da allora ha avuto un successo crescente, è piaciuto moltissimo agli studenti e ai docenti, e le imprese hanno iniziato a coglierne la valenza al punto che questo progetto è ormai istituzionalizzato. Fa parte del percorso didattico dei nostri studenti di formazione tecnica terziaria e oggi molti studenti intraprendono questo tipo di attività come un modo per imparare il management dell’innovazione, proprio perché Its 4.0 si basa sull’idea di promuovere il design thinking: un metodo che nelle aziende viene utilizzato come strumento di gestione dell’innovazione e che noi abbiamo riportato come chiave didattica per un apprendimento attivo che mira a risolvere problemi – in inglese diciamo problem based learning, o challenge based learning“.
Cos’è, esattamente, Its 4.0? E come si aderisce?
“È un progetto che struttura un ponte solido e virtuoso fra aziende in cerca di sperimentazioni e innovazioni 4.0, e mondo ITS.
“Il nostro è un programma nazionale e quindi ogni ITS ha diritto di portare un progetto che poi noi di Its 4.0 valuteremo e a cui, eventualmente, apporteremo delle modifiche. Negli anni abbiamo creato anche una piattaforma digitale per gestire la documentazione e quindi riusciamo a portare avanti molti progetti insieme: quest’anno ne abbiamo più di 60“.
E una volta approvato un progetto, come funziona?
“Funziona così: si definisce una sfida ambiziosa che viene presa in carico da un gruppo di ragazzi seguiti da un tutor – che mettiamo a disposizione noi come università – che li accompagna seguendo le 5 fasi del design thinking. La prima fase è quella dell’empatia – significa che mi devo mettere nei panni di colui che un giorno utilizzerà un determinato strumento – al termine della quale si ridefinisce, con maggiore consapevolezza, la sfida iniziale. Comincia poi il percorso di ideazione – che noi chiamiamo brainstorming – che spesso si conclude con una quarta fase di prototipazione. Attenzione però: non si tratta dell’oggetto zero di una serie da un milione – la prototipazione industriale – bensì di un oggetto che incarna l’idea in versione 3d, un modo per pensare insieme. Dopodiché il prototipo viene testato, validato e dato in pasto a un pubblico vario per capire se funziona. Riassumendo: empatia, definizione, ideazione, prototipazione e test. Queste cinque fasi si chiudono di solito in sei mesi e i risultati più convincenti hanno una vetrina in autunno a Roma, in occasione del Maker faire, una manifestazione legata al tema del digital manufacturing, delle nuove tecnologie, della Internet of Things che raduna molti giovani”.
Quindi, giusto per essere chiari: all’interno di un percorso ITS, Its 4.0 si inserisce come un corso?
“Sì, è un modulo”.
Vuole farci qualche esempio di progetto portato a termine con successo dagli studenti che hanno partecipato a Its 4.0?
“Abbiamo avuto progetti molto vari e diversi fra loro, e che meritano di essere ricordati. Due anni fa ha vinto un progetto del centro-sud Italia di un’azienda che, dopo avere smesso di produrre coperte, ha dato disponibilità agli studenti di una scuola di moda – molto orientata alla tecnologia, al taglio laser, alle nastrature e tutto ciò che riguarda la confezione digitale – di utilizzare queste coperte come materia prima per fare dei vestiti particolari, vestiti da sposa per esempio. È stato un grande successo, i risultati erano davvero convincenti ed è stato un progetto anche molto divertente che ha saputo unire in modo unico il digitale alla tradizione artigianale. Un altro progetto, nell’ambito meccatronico, di un paio di anni fa riguardava i sigilli digitali per le autobotti del prosecco. Oppure a Torino hanno progettato un rifugio per cicloturisti 4.0 munito di tutta la sensoristica intelligente del caso, perché le strutture per il cicloturismo non hanno personale e devono essere completamente automatizzate e, in questo caso, una soluzione simile può diventare un vero punto di riferimento per le nuove piste ciclabili che si stanno diffondendo. Quest’anno abbiamo degli esempi bellissimi di realtà aumentata, per esempio bottiglie di vino che hanno abbinato un Nft che racconta la storia e l’origine della bottiglia, e ne certifica la provenienza – attraverso foto o video. E potrei andare avanti quasi all’infinito”.
Lei insegna anche all’università: qual è la forza e la principale differenza di un percorso del genere rispetto a un corso universitario?
“La grande differenza è la modalità didattica. All’università abbiamo una modalità di insegnamento più di tipo top-down. Significa che diamo agli studenti le fonti e la letteratura scientifica, poi lo studente deve approfondire e farsi venire delle idee. Si tratta di un metodo molto impegnativo dal punto di vista concettuale. Invece qui parliamo a persone che magari non hanno una forte abitudine a gestire lunghi tempi di concentrazione o di isolamento, oppure non hanno una sensibilità particolare per la gestione dei simboli e dei numeri. Nella modalità ITS si parte sempre da una relazione: è molto efficace imparare in questo modo, perché la relazione attiva una forma di conoscenza completa. È dimostrato infatti che la conoscenza ha a che fare anche con l’emozione, con la simpatia, con la voglia di fare, con l’intensità di un dialogo.
“Per molte persone partire da una fase come quella dell’empatia – entrare in relazione con qualcuno che ha bisogno di quello che faccio – significa attivare intelligenza, stimolo e intenzione, tutte sensazioni e situazioni che in un percorso universitario sono molto posticipate. In questo modo si stimola fin da subito lo spirito critico, si mette in discussione quello che si è appreso: è una forma di apprendimento di tipo bottom-up che, ci tengo a sottolinearlo, non è affatto di secondo grado. Il design thinking promuove un approccio di tipo inclusivo rispetto a tante forme di sensibilità e di intelligenza, che nostro sistema scolastico tendenzialmente non metabolizza. Per sostenere il made in Italy abbiamo bisogno di più intelligenze, abbiamo bisogno di formare giovani attraverso nuove tecniche e nuove forme di disciplina, e devo dire che sono molto contento di vedere che questo poi produce anche degli ottimi cittadini, delle persone più consapevoli e più felici“.