Qual è il futuro occupazionale per i giovani? Quali sfide dovranno affrontare tra la ricerca di un lavoro e il raggiungimento della pensione? Elsa Fornero, economista ed ex Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali (2011-2013), lo spiega ai microfoni di TuttoITS, sottolineando l’importanza degli Istituti Tecnologici Superiori come strumento per colmare il divario tra formazione e mondo del lavoro.
Qual è il ruolo e il valore degli Istituti Tecnologici Superiori (ITS) nella sostenibilità del mercato del lavoro e nella stabilità economica del nostro Paese?
Gli ITS sono fondamentali. Offrono una formazione professionalizzante, rispondendo alle esigenze concrete delle imprese e riducendo il rischio di disoccupazione giovanile. Questo tipo di istruzione, seppur non universitaria, è altamente spendibile nel mercato del lavoro, scongiurando i rischi a cui, invece, una formazione più generalista può portare.
Perché un giovane dovrebbe considerare questo percorso alternativo all’università?
In Italia persiste un pregiudizio culturale verso percorsi non universitari che ci porta, spesso, ad anelare al titolo di “dottore”. Tuttavia, gli ITS forniscono competenze specifiche, accelerando l’ingresso nel mondo del lavoro, e in settori per i quali sono previste proprio le competetene acquisite nel percorso formativo.
È fondamentale superare questi pregiudizi culturali e valorizzare anche la formazione tecnica, che ha un potenziale non solo per il singolo ma anche per la società perché, favorendo l’inserimento nel mondo del lavoro, contribuisce all’occupazione e al reddito, e dunque al benessere generale.
Lei ha definito l’Italia il “Paese dei giovani svantaggiati“. Cosa intende?
L’Italia presenta diverse forme di debito che gravano sui giovani: debito pubblico, demografico, pensionistico, lavorativo e formativo. Nel momento in cui qualche dubbio sulla sostenibilità del debito pubblico o del sistema pensionistico si insinua tra gli operatori finanziari, i tassi di interesse salgono molto rapidamente e, in questo modo, diventa molto probabile una crisi finanziaria.
Circa il debito pensionistico specifico, invece, oggi si fanno promesse previdenziali senza contare sulla capacità dei giovani di finanziare le pensioni. Infatti, in Italia, come nel resto d’Europa, chi è giovane e lavora versa contributi che servono immediatamente a corrispondere le pensioni a chi è già in quiescenza. Tuttavia, e qui entra in gioco il debito demografico, se la popolazione invecchia, i giovani diminuiscono mentre gli anziani aumentano e quindi gli occupati devono sostenere non soltanto sé stessi ed eventualmente le loro famiglie ma anche un onere crescente, e questo può diventare scarsamente sostenibile. Si immagini se i contributi sociali, oggi al 33% della retribuzione lorda, per i lavoratori dipendenti, dovessero salire al 50% o più. Non a caso si parla si insostenibilità.
Per di più, non soltanto i giovani si riducono rispetto agli anziani, ma si trovano anche a dover fronteggiare un inserimento nel mondo del lavoro più difficile rispetto a quello delle generazioni dei loro genitori e hanno redditi meno stabili e spesso anche bassi, visto che il cosiddetto “lavoro povero” sembra riguardare soprattutto i giovani. Motivo per il quale, spesso, si trovano costretti a cercare un’occupazione all’estero, ciò che sottrae altri contributi al sistema pensionistico. Un altro problema, e qui si parla di debito formativo, è che le famiglie stesse non sembrano più attribuire l’importanza di un tempo all’investimento in formazione per i loro figli. Un tempo la scuola rappresentava un efficace ascensore sociale; oggi non è più sufficiente.
Molti giovani temono di non avere mai una pensione. È davvero così?
La pensione è il risultato di una vita lavorativa stabile e ben remunerata. Offrire opportunità di lavoro dignitose ai giovani e investire nell’istruzione e nella formazione professionale è fondamentale per garantire loro un futuro sereno, inclusa una pensione adeguata. Se le condizioni occupazionali che offriamo sono precarie e mal retribuite, la pensione diventa una preoccupazione secondaria rispetto alla sopravvivenza quotidiana.
In Italia, i lavoratori versano un terzo del loro stipendio (o reddito, se autonomi) per la pensione. Se avessero una carriera lavorativa solida, questo dovrebbe essere sufficiente per garantire loro una buona pensione. Le promesse politiche da sole non bastano: senza una crescita economica sostenuta, lavoro stabile e ben retribuito, e una demografia in salute, il sistema pensionistico è a rischio, quali che siano le promesse politiche.
Quali sono oggi le aspettative occupazionali in Italia per un giovane non benestante?
C’è stato un lieve miglioramento nella quantità di lavoro disponibile, ma i giovani, insieme alle donne, rimangono tra i più svantaggiati. Le riforme recenti, inclusa quella che ho firmato con il Presidente Monti, mirano a favorire l’inclusione e il dinamismo nel mercato del lavoro, ma i risultati sono lenti. Il lento miglioramento è in parte dovuto alla lentezza delle riforme nell’esplicare i loro effetti, ma anche a fattori economici globali visto che le economie sono oggi molto più interconnesse che in passato.
Il tentativo del governo di attribuirsi il merito dell’aumento dell’occupazione – che però rimane tra le più basse in Europa – è fuorviante, dato che le riforme del passato, come il Jobs Act, hanno sicuramente contribuito. Inoltre, c’è un cambiamento culturale in atto: le donne aspirano sempre più all’indipendenza economica e questo si riflette nelle aspettative delle giovani, molto più determinate a trovare un’occupazione.
Cosa serve per migliorare la situazione occupazionale dei giovani?
Istruzione, competenze e un dialogo più stretto tra mondo del lavoro e formazione sono cruciali. Esperienze come i tirocini e l’apprendistato duale possono colmare il divario tra scuola e lavoro. Durante il mio mandato come Ministro del Lavoro (2011-2013), ho promosso i tirocini formativi e lavorato con l’attuale Presidente della Commissione Europea, Ursula von der Leyen, a un progetto di apprendistato duale. Purtroppo, l’Italia spesso non dà seguito a progetti avviati da governi precedenti, perdendo opportunità preziose.
Perché abbassare l’età pensionabile rischia di essere un errore?
L’idea che mandare in pensione prima gli anziani crei più opportunità per i giovani è un’illusione. Paesi, come Germania, Olanda o Svezia, con tassi di occupazione più elevati del nostro dimostrano che è possibile far lavorare sia i giovani che gli anziani (purché, naturalmente, in buona salute).
La soluzione è creare un mercato del lavoro più inclusivo, non limitato da un numero fisso di posti. Invertire l’ordine dei problemi e chiedersi come creare più lavoro per tutti è la chiave. Inoltre, andare in pensione prima significa spesso pensioni più basse, mettendo a rischio la sostenibilità del sistema, soprattutto con una popolazione che invecchia.
Cosa ne pensa del fatto che i giovani oggi sembrano dare più importanza al bilanciamento tra vita privata e lavoro rispetto al solo compenso?
È un fenomeno in crescita, accentuato dall’esperienza del Covid. Il lavoro dovrebbe essere fonte di soddisfazione e realizzazione personale, non solo un mezzo per vivere. È importante valorizzare anche il tempo libero, purché sia dedicato ad attività costruttive e non solo all’uso passivo dei social media, che spesso veicolano messaggi diseducativi e consumistici.
A quali progetti si sta dedicando attualmente?
Mi sto dedicando molto all’educazione economico-finanziaria di base, con l’obiettivo di aiutare i giovani, che frequentano gli ultimi anni delle scuole superiori, a prendere decisioni consapevoli riguardo al loro futuro, a diventare cittadini meglio informati sulle questioni economiche, anche per sottrarli alle illusioni dei populisti.
Partecipo in tutta Italia, e in particolare nel Nord-Est, a programmi nelle scuole, parlo con i ragazzi e li avvicino ai temi dell’economia, aiutandoli a comprendere le scelte che dovranno affrontare, sia personali che collettive. Sto anche scrivendo un libro su questo tema.
Che riscontro ha dai giovani con cui interagisce?
Riscontro molto interesse e partecipazione. L’economia, se presentata in modo coinvolgente, può essere un argomento stimolante per i giovani. Bisogna renderla viva, trasformarla da “scienza triste” in qualcosa di interessante e rilevante per la loro vita.