La famosa qualità della vita -spesso intesa come il mix di rapporti umani solidi, cibo e bellezze artistiche nei paraggi di casa- non basta più per trattenere i giovani sui territori. Lo confermano i dati sull’emigrazione e sulla perdita di capitale umano ma anche la ricerca Futuro Qui! promossa da Fondazione Cariverona e condotta da Upskill 4.0. L’indagine ha raccolto la voce di oltre 1000 giovani under 35 (ma over 18) nelle province di Verona, Vicenza, Belluno, Mantova e Ancona. I risultati sono stati presentati a Verona nell’ambito di un evento organizzato con Will Media (il 19 febbraio, ndr).
Di fatto, siamo nei paraggi di alcune delle più belle città italiane, site in regioni, come Lombardia e Veneto, non certo deboli sul piano della spinta all’economia nazionale. Eppure, anche da queste parti soffia il vento dello scontento se per il 51,6% degli intervistati il futuro è altrove, lontano da casa: il 12,7% pensa di cambiare regione, il 14,1% intende trasferirsi all’estero, il 24,8% è disponibile a muoversi ovunque trovi migliori opportunità.
Inoltre, 7 giovani su 10 che dichiarano di voler restare nel nostro Paese sarebbero disposti comunque a valutare un’opzione all’estero se si dovesse presentare l’occasione, a dimostrazione della mancanza di certezza e del bisogno di restare in guardia.
La possibilità di fare nuove esperienze, la necessità di trovare un nuovo lavoro, le occasioni di crescita professionale non sono il solo motore per andare all’estero. A prevalere sono una valutazione non positiva della situazione italiana complessiva (39%), la possibilità di ottenere salari migliori (32%) e di accedere a condizioni di vita migliori (21%). Insomma, la necessità di andare prevale sulla curiosità.
Spostarsi non è un problema in assoluto ma lo diventa nei casi in cui non c’è scelta. E, a giudicare dal sentiment degli intervistati, non ce n’è abbastanza. I salari sono poco competitivi anche a livello nazionale, e il mismatching tra competenze e lavoro è un tema presente anche in altri paesi. Tuttavia, la difficoltà di accesso alla casa, servizi pubblici e trasporti inefficienti, scarsità di spazi di aggregazione e offerta culturale debole rappresentano un invito più circostanziato a chi governa i territori più laterali ma anche un appello a cambiare per invertire la tendenza.
Restare non sarebbe impossibile ma i cambiamenti richiesti toccano in alcuni casi aspetti complessi e dai tempi lunghi, come nel caso delle infrastrutture per vivere i dintorni: tanto più allora bisogna mettersi in cammino per rispondere ai bisogni. Generazione dopo generazione, la perdita di capitale umano si traduce in un boomerang per i piccoli centri, depauperati e progressivamente più marginali. A fronte di molti che vanno, è difficile poi ampliare i servizi per chi resta.
Uno dei punti di forza dell’indagine è la restituzione di un quadro dove svettano bisogni pragmatici e sostanziali, come servizi pubblici (sanità, ambiente, reti stradali, ecc.) e lavoro (salari, qualità del lavoro, crescita professionale, ecc.).
Sono proprio quelli da cui partire per un ragionamento serio sulle azioni atte a favorire la permanenza. Come afferma lo stesso report, “molti degli elementi che erano stati valutati positivamente, come cibo o le palestre/impianti sportivi, o molto negativamente come la casa e le nuove forme di mobilità carsharing e bikesharing perdono la loro rilevanza una volta messi a confronto con i fattori necessari per la permanenza sul territorio”.
Insomma, le iniziative spot o il grande focus su food come chiave di generazione del profitto si rivelano deboli rispetto ai bisogni profondi dei giovani.
Una nuova via va cercata anche nella convivenza tra vecchio e nuovo perché i più giovani, in provincia, lamentano il tradizionalismo dell’offerta culturale, la mancanza di luoghi di incontro e di aggregazione ma anche la difficoltà di una coesistenza ragionevole con le generazioni precedenti. Se nei centri storici dominano gli anziani – e le case nelle zone nobili hanno prezzi inaccessibili- non stupisce un senso di fastidio sullo spopolamento del centro città alle dieci di sera ma anche l’impossibilità di partecipare a eventi e attività senza disturbare i residenti.
Non a caso, afferma il report è la fascia età tra i 18-24 a esprimere uno scarso livello di soddisfazione complessiva nel vivere nella provincia di domicilio, mentre la fascia di età tra i 30-34 è quella che esprime giudizi leggermente più positivi, a fronte forse di mutate esigenze di vita.
La ricerca, tuttavia, non si limita a cogliere lo scontento ma pone il focus su sette leve strategiche su cui intervenire per rendere i territori più attrattivi per le nuove generazioni: spazi ibridi di nuova generazione, mobilità più flessibile, partecipazione allargata, cultura aperta al contemporaneo, nuovi modelli di governance, lavoro di qualità, abitazioni più accessibili.
Per tutti i soggetti che possono fare la differenza è quindi giunto il tempo di mettersi all’ascolto e agire. Come sottolineato da Bruno Giordano, presidente di Fondazione Cariverona, “se non interveniamo in modo concreto e sistemico, coinvolgendo decisori pubblici, privati e nuove generazioni, la perdita di talenti qualificati rischia di diventare irreversibile. È anche per questo motivo che, come Fondazione, stiamo ragionando sulla creazione di uno Young Advisory Board composto da giovani a supporto dei nostri organi, che possa offrire la propria visione per contribuire ad affrontare le sfide attuali e a sviluppare alcune iniziative operative”.
In quest’ottica, “Futuro Qui! – sempre secondo il presidente – non è solo un punto d’arrivo, ma un punto di partenza per costruire territori capaci di trattenere i loro talenti. Questo progetto segna infatti l’inizio di un percorso di ascolto, dialogo e cambiamento che, come Fondazione, intendiamo portare avanti con determinazione, coinvolgendo istituzioni, imprese e comunità locali e sviluppando partenariati. Un percorso che troverà pieno compimento nel Documento di programmazione pluriennale 2026-2028 che presenteremo entro la fine dell’anno, per dare la possibilità ai giovani di continuare a immaginare il proprio futuro qui, e non altrove”.