Il futuro del mondo dell’occupazione è 4.0 e 5.0, ma come prepararsi in modo efficace? Ce lo ha raccontato per TuttoITS Silvia Oliva, ricercatrice senior di Fondazione Nord Est e membro del comitato direttivo di Fondaco Europa, che si occupa di diffondere le conoscenze dell’Europa e delle sue istituzioni. Fondazione Nord Est collega l’università e la ricerca con il mondo dell’industria, portando a quest’ultimo gli studi più innovativi basati su priorità e concretezza operativa delle imprese. Oliva ha partecipato al sondaggio Le professioni del futuro (2021) promosso da Confindustria Veneto e realizzato da Fondazione Nord Est, svolto su un campione di 1.082 imprese venete di 8 settori significativi per il tessuto produttivo regionale.
Nell’immediato mancano figure tecniche ad alta e media specializzazione: che fare?
“Le imprese lamentano moltissimo la scarsità di tecnici“, spiega Oliva. “Quelli a media specializzazione sono ricercati soprattutto per i settori di logistica, turismo e servizi alla persona. La necessità è comunque per molte figure professionali”, come da report Istat. “Non ci sono abbastanza giovani formati, un problema con diverse cause. La prima è demografica: l’Italia è un paese con pochi giovani anche tra la popolazione straniera. Inoltre molti ragazzi non scelgono il percorso ITS per il loro futuro lavorativo solo perché lo considerano di serie B rispetto al liceo. Questo anche se negli ultimi 5 anni la tendenza si è lentamente invertita a favore della formazione tecnica”.
Non meno importante, “esiste un problema di abbandono del Veneto da parte delle giovani generazioni verso l’estero o altre regioni. Perché? Nel nostro territorio abbiamo aziende piccole – il 95% è al di sotto dei 10 addetti – ci sono meno profili professionali rispetto a contesti più grandi e i giovani hanno la percezione che le nostre città offrano meno”.
Tre punti vincenti da mettere in atto, per le imprese e per i giovani: qual è il “circolo virtuoso”?
1. Più formazione in generale e raddoppiare gli studenti ITS
La necessità delle imprese venete è di almeno il doppio di giovani diplomati dagli ITS. “Inoltre chi esce dai percorsi formativi ITS deve essere pronto a seguire l’aggiornamento professionale continuo, per acquisire competenze nel digitale e nella sostenibilità e sviluppare l’impresa circolare. Non serve soltanto un tipo di formazione, ma servono tutte le figure professionali, i tecnici ad alta specializzazione così come i laureati. I diplomati ITS sono molto richiesti per le professioni del futuro perché formano quelle figure intermedie tra chi gestisce l’azienda e la produzione. Sono quindi degli acceleratori dei processi”. Infine, “quando possiamo contare su un più elevato numero di persone sia con formazione più alta (i laureati) sia con professionalità tecniche, è proprio allora che si instaura il circolo virtuoso che crea più lavoro. Conseguentemente aumenta il benessere delle persone”.
Come fare? “Le risorse ci sono, più di quanto pensiamo grazie al Piano nazionale ripresa e resilienza (Pnrr). Certamente si dovranno mettere in campo anche altre competenze oggi al centro del dibattito: la sicurezza sul lavoro“.
2. Come risolvere la carenza di competenze tecniche per il lavoro del futuro? Gli imprenditori verso la scuola
Il sondaggio Le professioni del futuro, ha evidenziato come la carenza di competenze nei giovani lavoratori sia un tema composito e si debba affrontare da più parti. Oltre alla formazione interna ed esterna per i collaboratori e la formazione dei nuovi assunti, “è fondamentale che gli imprenditori escano verso la scuola. Anche loro infatti imparano, raccontando le aziende e conoscendo, aprendosi con interesse al mondo dei ragazzi. È un percorso importante cui stiamo lavorando con Fondazione Nord Est proprio con il fine di rendere più costante ed efficace il confronto con il sistema formazione. Questo è davvero un punto chiave e richiederà tempi forse lunghi”.
3. Il 65% degli imprenditori veneti dichiara insufficienti le soft skill dei neo-assunti per l’avvenire: come ovviare?
“Siamo sicuramente carenti nel lavoro di squadra rispetto ad altri paesi europei”. Un dato sempre più evidente nelle sfide professionali di presente e futuro e che salta in evidenza ancora di più oggi dove tra le altre cose, “non si lavora più in team omogenei, ma con figure professionali diverse dove serve capacità di ascolto e almeno un’infarinatura di diverse competenze di base”. Le abilità personali, le cosiddette soft skill si dovrebbero imparare fin da piccoli, per esempio alla scuola elementare oltre che in famiglia. “In primo luogo la scuola dovrebbe essere ripensata per dare una formazione non solo teorica. Per esempio, lavorando di più sullo sport, le arti o la recitazione. In alcuni ITS veneti è già previsto un percorso con una squadra di basket, un progetto molto utile che sta dando buoni risultati”. Utilizzare lo sport nella formazione è infatti “un diverso modo di insegnare ad affrontare le sfide del lavoro, come della vita: mettersi in gioco e in discussione”.
Un’altra soft skill che i giovani dovrebbero migliorare e molto richiesta, è la capacità di sapere auto organizzarsi il tempo. L’abilità, cioè, di lavorare a qualcosa per obiettivi e risultati in autonomia per quanto riguarda le tempistiche”.