Modelli

La formazione in Germania e le differenze con gli ITS 

Gli ITS sono nati nel nostro paese nel 2010 ispirati dai Fachochschulen, ma il modello tedesco è ancora parecchio distante

Guardare ai modelli di successo è un primo passo, positivo, per costruire un ambiente di formazione efficiente. Non è un caso dunque che la Germania sia il primo Paese a cui prestare attenzione per la professionalizzazione degli studenti. 

Gli stessi ITS, d’altronde, sono frutto di una proposta che ricalca l’offerta tedesca degli Fachochschulen. Traducibili come scuole professionalizzanti di alto livello, consistono in corsi specializzati nell’insegnamento di competenze lavorative. I Fachochschulen si caratterizzano per il forte connubio tra formazione teorica e pratica, che implementi le conoscenze acquisite in precedenza negli Istituti tecnici. 

Studio finalizzato all’occupazione

Tuttavia, l’errore che spesso accompagna chi riadatta i modelli è guardare troppo da vicino l’esempio della Germania, senza considerare il quadro completo. Tra la scuola e il mondo del lavoro in Italia risulta più netta una mancata corrispondenza tra le caratteristiche professionali richieste dalle imprese e quelle possedute dai lavoratori.

Una criticità lontana dall’esempio teutonico, che dispone di un sistema capace di offrire una preparazione costante al mondo del lavoro. In ogni passo del percorso scolastico, lo studio è sempre finalizzato al futuro sbocco professionale. Questo obiettivo comporta un confronto continuo tra istituti e aziende. Il collegamento permette ai giovani diplomati di entrare direttamente nel mondo del lavoro o di specializzare, solo allora, le proprie competenze nei cosiddetti Fachochschulen. Un percorso che gli studenti considerano quasi naturale, se si confrontano i dati riportati nel 2015 nelle loro scelte accademiche. In Germania, agli 1,7 milioni di studenti universitari, facevano in quell’anno da contraltare quasi 900mila studenti che avevano optato per questo genere di istituti

Il divario italiano degli ITS

Numeri incomparabili con il settore degli ITS in Italia. Una questione che già nel 2018 era stata sollevata dall’ex ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda. Oltre a pagare un’esistenza ancora relativamente breve, essendo nati di fatto solo nel 2010, gli Istituti Tecnici Superiori scontano una destinazione molto più ristretta tra le scelte finali degli studenti. Nel 2017, a due anni di distanza dal rapporto tedesco, il divario era ancora abissale. Secondo il portale Indire, l’Italia contava 8.589 studenti impegnati in un percorso ITS. Meno di un centesimo rispetto alla Germania.

Differenze tali sono dovute probabilmente a una conoscenza ancora ristretta di questa offerta professionale, da parte degli studenti, una volta terminato il ciclo scolastico. I Fachochschulen infatti sono visti come una naturale continuazione di un percorso che, in Italia, risulta di maglie più larghe, ma a volte poco chiare, nelle scelte dei giovani italiani. 

A differenza del sistema tedesco, inoltre, gli ITS si caratterizzano per un periodo di formazione più breve. I diplomi degli Istituti Tecnici Superiori prevedono un percorso di formazione della durata tra i due e tre anni. In Germania, invece, i Fachochschulen contemplano una durata di quattro anni, di cui due previsti sotto forma di stage in un’impresa. 

In sintesi, paragonare il modello italiano e tedesco presenta numerose incongruenze, che siano a livello di permeazione nei due sistemi scolastici, di partecipazione effettiva degli studenti o anche solo di conoscenza della proposta educativa offerta. La strada aperta dagli ITS in Italia apre uno scorcio a una esperienza comunque di successo. L’obiettivo dell’occupazione è raggiunto dall’80% dei diplomati entro un anno, ma a dodici anni dalla costituzione, un traguardo ancora da raggiungere è l’allargamento effettivo della platea

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Lorenzo Garbarino
Collaboratore
Giornalista. Laureato prima in Storia e poi in Scienze Storiche all’università di Torino. Oggi ancora studente alla scuola di giornalismo “Giorgio Bocca”.
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