L'intervista

Dianora Bardi: gli ITS penalizzati dal nome, devono incontrare di più il mondo della scuola

La Presidente del Centro Studi Impara Digitale racconta il suo punto di vista sulla formazione tecnologica superiore, ma anche i limiti di un sistema scolastico, quello italiano, che continua a cercare poco l'incontro tra teoria e pratica, malgrado l'innovazione tecnologica a disposizione

Per fare l’avvocato o il medico, l’economista o l’ingegnere, serve la laurea. Ma per chi vuole lavorare in settori che rispecchiano la domanda delle imprese “di nuove ed elevate competenze tecniche e tecnologiche” esiste anche la formazione terziaria superiore, quella offerta dagli Istituti Tecnologici Superiori. Tuttavia, malgrado siano comparsi più di un decennio fa, e abbiano anche goduto di una riforma, non si può dare per scontato che il grande pubblico li conosca. E nemmeno gli addetti ai lavori: lo ammette anche Dianora Bardi, presidente del Centro Studi Impara Digitale, attualmente membro del Comitato tecnico-scientifico di esperti in materia di tecnologie e di innovazione didattica digitale a supporto della Direzione Generale per i fondi strutturali per l’istruzione, l’edilizia scolastica e la scuola digitale nel processo di evoluzione del PNSD (Piano Nazionale Scuola Digitale).

Ho incontrato gli ITS Academy, che non conoscevo, e devo dire che sono una realtà davvero interessante, che ha bisogno di svilupparsi, di creare sinergie e avere rapporti con le scuole, con le aziende, con il territorio” scriveva Bardi in un post su Facebook lo scorso 24 maggio, a seguito di un evento in Molise.

Recentemente, Impara Digitale ha infatti organizzato, con la Fondazione Demos Academy di Campobasso, gli Stati Generali della Scuola nel capoluogo del Molise. Un appuntamento che, come rimarcato da Rossella Ferro, presidente dell’ITS Demos, ha costituito “due giorni di studio e di approfondimento” che ha permesso ai relatori di illustrare ai presenti “ciascuno nel proprio ambito professionale e sotto le più diverse sfaccettature, quella che è l’evoluzione del mondo del lavoro considerando le reali esigenze delle imprese, i nuovi paradigmi dei sistemi educativi, l’innovazione tecnologica e didattica, la virtualità, la robotica. Temi
di grande attualità in cui il dialogo tra scuola, ITS e imprese dev’essere sempre aperto e
alimentato
”.

Di innovazione tecnologica e didattica è certamente esperta Bardi, docente nei licei dal 1978 al 2016, ma anche e soprattutto nota come ideatrice e organizzatrice di progetti sulla didattica con le tecnologie multimediali e di manifestazioni sulla multimedialità a carattere nazionale e internazionale. Sarebbe riduttivo dire che ha portato i tablet in classe quando non lo facevano gli altri docenti perché il tema, per l’innovatrice, non è mai stato solo tecnologico, in quanto, è la didattica che deve cambiare grazie ai tool. Saper usare gli strumenti non basta, né per gli studenti né per gli insegnanti.

Ma quali sono le sfide tecnologiche, e non, che vive la scuola italiana oggi? E come affrontarle? Che ruolo possono giocare gli ITS? Lo abbiamo chiesto a Dianora Bardi, che risponde alle nostre domande.

L’intervista

Bardi, dai tablet introdotti più di un decennio fa ai chatbot di oggi: quali sono i temi tecnologici che vanno governati attualmente nella scuola italiana?

Sono passati tredici anni, è chiaro che il panorama è cambiato così come tutte le tecnologie, questo è evidente. C’è stata una grande diffusione del digitale, essendosi digitalizzata la società così come il mondo del lavoro. La scuola ha dovuto seguire questo trend. Quanto è cambiata? Le tecnologie sono entrate in sovrabbondanza, i docenti le sanno utilizzare parzialmente: è sempre stata fatta una formazione sull’uso dello strumento, ma perché abbia un effettivo valore all’interno della scuola va fatto un passaggio in più, ovvero una didattica differente, con modalità di lavoro differenti. Ci vuole tempo per realizzare questo passaggio.

Come mai con tutti questi finanziamenti, con tutte queste tecnologie, con tutti questi anni passati a parlare di digitale, le competenze digitali non sono ancora entrate nella didattica giornaliera? La risposta è semplice, non si è cambiata la didattica. Quindi, va bene l’Ai, va bene ChatGpt, ma siamo in una fase precedente per quanto mi riguarda, cioè come cambiare la scuola utilizzando le tecnologie qualunque esse siano. Ancora di più se ci troviamo davanti all’artificial intelligence e ai metaversi, quindi a nuove modalità di lavoro.

La tecnologia avanza e non aspetta la didattica, quando potrebbe chiudersi allora il gap?

Il ministero, con il Piano Nazionale Scuola Digitale, sta cercando di dare tutte queste risposte a un’esigenza che la scuola sta evidenziando. Bisogna vedere quanto la scuola risponde. Adesso è tutta impegnata ad acquisire questo numero altissimo di tecnologie e arredi per la scuola 4.0. Quanto poi stia preparando gli studenti alle professioni del futuro ci dovranno pensare più gli ITS che la scuola normale. Non so dire quanto ci vorrà, bisogna vedere le risposte della scuola alle indicazioni del Pnsd, siamo in una fase di consultazioni, il ministero sta sentendo tutte le parti e sta dando linee guida. Spero presto ma non sono così ottimista.

Nel 2018 scriveva, a proposito di Pnsd: “c’è stata una sorta di presa di coscienza nel campo delle tecnologie, è anche vero che questa non è stata sufficiente a spingere significativamente la scuola a una vera trasformazione della governance”. Sono trascorsi cinque anni.

Siamo ancora fermi lì, a volte riprendo gli articoli di dieci anni fa e sono ancora validi. L’errore che si continua a fare è porre attenzione solo agli strumenti e a come si usano, ecc. Ma la domanda è: ChatGtp nella didattica cosa può portare, come va gestito? Gli studenti si pongono meno i problemi del digitale, il problema sono i docenti: sono diventati abili nell’utilizzo, anche grazie alla didattica a distanza è stato fatto un salto di qualità sull’uso tecnico, ma poi vanno in aula e fanno la lezione tradizionale, oppure si concentrano su alcune metodologie. Tuttavia manca la progettazione, l’inserimento nella didattica, nel progetto della scuola. Questo passaggio non è stato fatto.

Ai recenti Stati Generali della Scuola in Molise, l’evento organizzato dalla Fondazione Demos Academy di Campobasso con Impara Digitale, c’erano esperti del mondo della scuola, gli Istituti Tecnologici Superiori, dirigenti del ministero, imprenditori, psicologi. Sono occasioni importanti per parlare di competenze e “sentire la base”: cosa è emerso?

L’aspetto interessante è stato mettere in evidenza la fisionomia di cambiamento del mondo del lavoro con la ricerca di nuove professioni e specializzazioni, e poi mettere in luce gli ITS e farli parlare con la scuola. L’incontro tra la scuola secondaria di secondo grado e gli ITS è un elemento estremamente importante. Le aziende hanno messo in evidenza come il mondo del lavoro richieda nuove specializzazioni e molti posti di lavoro rimangono scoperti perché queste mancano. Vogliamo portare avanti queste tipologie di eventi dove gli ITS si fanno conoscere e vogliamo sensibilizzare la scuola a quello che la società chiede: questa è solo la prima tappa, ne faremo altre.

Spesso i presidenti delle fondazioni e i docenti lamentano la scarsa conoscenza degli Istituti Tecnologici Superiori da parte del pubblico e nelle famiglie c’è ancora un pregiudizio, rispetto a percorsi più canonici. Come mai permane questa dinamica e gli ITS non riescono a comunicare abbastanza la loro presenza?

Le dirò la verità spassionata, fino all’anno scorso non sapevo che ci fossero, eppure sono accettabilmente “dell’ambiente“. Per me è sbagliato il nome perché richiama un istituto “soltanto” professionale. Se fossero stati chiamati “università professionalizzanti” forse l’interesse sarebbe stato completamente diverso. Poi manca l’incontro tra gli ITS e la scuola: non si incontrano, non si parlano. La grande attenzione c’è stata per tutti i finanziamenti che hanno ricevuto, e allora siamo andati alla scoperta di cosa fossero, di un mondo che si conosceva poco. Ne ho capito le potenzialità, l’importanza, e abbiamo detto: facciamo incontrare il mondo della scuola con gli ITS. Se i ragazzi e le famiglie capiscono l’importanza degli Istituti Tecnologici Superiori cambia tutto il panorama.

Le modalità classiche di valutazione dei contenuti sono spesso contestate, anche dagli studenti. Gli ITS rappresentano il superamento di questa logica, posto che in azienda non ti valutano con un voto ma per quello che sai fare?

Sicuramente gli ITS, essendo una scuola (terziaria non universitaria) che professionalizza, fa sì che le competenze si acquisiscano lavorando e facendo pratica. I licei ti dicono: “noi non abbiamo i laboratori, gli spazi per la pratica“. Chiaramente questo è il passaggio che non ha permesso alla scuola italiana di acquisire le tecnologie in modo propositivo. Lavorare per competenze è complesso, non è cosi semplice, lo è molto di più per le scuole che permettono ai ragazzi di andare in azienda e mettere in atto modalità di lavoro completamente diverse rispetto alla scuola tradizionale. Gli studenti stanno nei banchi e nelle aule, ma anche negli stage e al lavoro con le aziende, acquisendo competenze necessarie per il mondo del lavoro.

Come mai il dibattito in Italia sul senso e il fine della scuola resta così polarizzato? Per alcuni deve limitarsi a trasformare gli studenti in cittadini consapevoli, per altri deve preparare al mondo del lavoro.

La scuola italiana è tradizionale, l’Italia ha una cultura molto forte, superiore a tutte le altre nazioni, ma anche talvolta “coercitiva”. Non si capisce che diverso modo di fare serve proprio a recuperare anche le conoscenze tradizionali. Io ho sempre insegnato latino, ma non riuscivo a fare studiare con interesse il latino se non usando le tecnologie o nuovi modi di fare didattica.

Questi passaggi, da una scuola che è abituata ad avere una cultura preponderante, ci porta a una dualità di pensiero rispetto a modalità di pratica professionale e laboratoriale: sembrano due mondi diversi, ci sono i docenti che ti dicono “no, noi siamo i teorici, siamo la cultura“. In effetti nella cultura mondiale gli italiani sono superiori a tutto dal punto di vista teorico, ma anche la teoria può essere affrontata in didattica diversa con strumenti diversi, vicini ai ragazzi. Insegnare oggi latino non è così semplice con ragazzi abituati a modalità di apprendere così diverse che vengono dall’Ai, dagli ambienti virtuali, dall’immaterialità. Il modo di apprendere dei ragazzi è diverso, si genera un gap che talvolta porta alla dispersione scolastica, non si risponde alle esigenze di studenti che sono cambiati.

Quali sono i prossimi appuntamenti che interessano Impara Digitale?

Gli Stati generali della scuola digitale, quest’anno di scena a Bergamo, per l’ottava edizione: due giorni, alla Fiera cittadina, con momenti di convegno, incontri e riflessioni, aperti a docenti, dirigenti, rappresentanti degli studenti delle scuole secondarie di secondo grado. Si tratta dell’evento più importante sulla scuola digitale.

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Maria Rosaria Iovinella
Giornalista professionista| Milan-based since 2008
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