A volte è il datore di lavoro a decidere, altre il dipendente: non tutte le storie professionali sono destinate a durare per sempre e talvolta le strade si separano.
Spesso, a pesare sulla scelta di cambiare lavoro, per il professionista, sono diversi fattori, dall’insoddisfazione alla ricerca di un maggiore equilibrio personale. Lo confermava anche un’indagine della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro dal titolo “Italiani e lavoro nell’anno della transizione”, presentata all’ultimo Festival del Lavoro, lo scorso giugno. La pandemia ha sicuramente accelerato le riflessioni sull’opportunità di voltare pagina e, a giudicare dall’indagine, sulla decisione possono incidere l’insoddisfazione e la voglia di novità, ma anche salari bassi, scarse opportunità di carriera, poca meritocrazia. Ma a motivare il cambiamento è anche un diverso approccio culturale: secondo l’indagine, il 49% degli italiani pensa che una nuova occupazione dovrebbe portare “un maggiore equilibrio personale, livelli minori di stress e più tempo da dedicare a sé stessi”. Un obiettivo che diventa in alcuni casi prioritario anche rispetto alla crescita economica. Per chi compie il salto le motivazioni possono essere diverse ma in tutti i casi l’obiettivo è trovare un nuovo impiego e poi prosperare nella nuova mansione. Ma quali sono le prassi che facilitano un felice inserimento nella nuova realtà lavorativa e quali gli errori da non commettere? Ecco un riepilogo valido per tutti i contesti.
Deporre la sindrome dell’impostore
Il percorso per ottenere un nuovo lavoro comincia, in genere, inviando il curriculum e superando una selezione fatta di più stadi (o vincendo un concorso). Ma spesso non basta per pensare che quel lavoro lo meritiamo davvero e che abbiamo le capacità di farlo al meglio del nostro potenziale. Un’attitudine comprensibile ma sbagliata, che rischia di aumentare il livello d’ansia e la paura di fallire. Meglio concentrarsi sull’esperienza che portiamo in dote, ricordando che ogni volta bisogna dimostrare tutto sul campo ma anche che alcune dinamiche si ripetono e l’esperienza fa la differenza.
Facilitare una routine detox
Non capita tutti i giorni di cominciare un nuovo lavoro. Per convogliare le nuove energie nell’esperienza che ci apprestiamo a vivere è positivo, per qualche giorno, rilassarsi, evitare di tirar tardi tra dispositivi e bingewatching, svuotare la mente dagli eccessi, compresi quelli legati all’iperinformazione.
Rispettare le regole del buonsenso
Il buongiorno si vede dal mattino? Sicuramente. Come ricorda inJob, grande player del recruiting, vanno rispettate quelle prassi che dimostrano puntualità, rispetto delle gerarchie organizzative degli spazi e dei ruoli. Non sono ovvietà perché, inutile negarlo, la narrazione sul lavoro è spesso contrassegnata da messaggi diversi, che invitano ad abbracciare attitudini meno rigide e convenzionali rispetto al passato. Giustissimo ma educazione, puntualità e correttezza sono fondamentali in tutti i contesti, anche quelli meno ingessati e più alternativi.
Coltivare le relazioni
Nei primi tempi, l’attenzione alla mansione e alle scadenze sarà ovviamente altissima. Il rischio però è di sembrare disinteressati a tutto il resto. E invece bisogna coltivare, con misura, le relazioni con i colleghi fin dal primo giorno, per capire meglio il contesto e al tempo stesso dimostrare interesse per la comunità con la quale interagiremo. Non serve isolarsi e nemmeno restare alla scrivania mentre gli altri sono via, in particolare nelle aziende dove ci sono spazi per coltivare le relazioni. Le imprese vogliono dipendenti in grado di lavorare meglio calandosi nello spirito del tempo, evitando quindi attitudini troppo hard e poco soft.
Fare domande e prendere appunti
Un nuovo lavoro equivale a una nuova sfida. E non è detto che sia in continuità con quella precedente. Per molti, equivale spesso a intraprendere una strada inedita in un settore diverso. O magari transitare dal privato al pubblico e viceversa. In questi casi, lo ricorda anche inJob, meglio mettere nero su bianco le informazioni che arriveranno da colleghi, superiori e da coloro che popolano lo spazio lavorativo (fossero anche clienti, fornitori, ecc). Conservare le note significa poterle riguardare e riflettere dopo le prime settimanae. Non bisogna dimenticare di porre anche le domande al team o ai colleghi, ovviamente con metodo, senza eccedere e scegliendo i tempi giusti.
Valorizzare l’offerta della nuova organizzazione
Il professionista che cambia azienda cerca a volte anche un contesto con un maggior appeal e magari più attento ai bisogni dei dipendenti: dalle strutture interne a programmi di assistenza. In azienda ritroveremo in alcuni casi i responsabili delle risorse umane o professionisti attenti al benessere, fisico o psicologico, degli assunti. Persone in grado di darci feedback e farci capire meglio come stiamo andando. Anche in questo caso, è giusto farsi avanti e mostrare interesse per tutti gli aspetti dell’organizzazione, in particolari quelli che ci aiutano a performare meglio.